Friday 6 July 2007

GLI SCHIAVI DELL'ETANOLO


IL BRASILE E' IL PRINCIPALE PRODUTTORE DI BIOETANOLO, IL COMBUSTIBILE DERIVATO DALLA CANNA DA ZUCCHERO. LULA NE VA FIERO. MA NON TUTTO E' ROSA E FIORI...

Pubblicato su La Stampa, 6 luglio 2007

Turni di 14 ore consecutive al giorno tagliando tonnellate di canna da zucchero sotto un sole cocente. Un salario sulla carta decente ma che veniva decurtato dalle trattenute in busta paga per il vitto, l’alloggio, il trasporto e persino per l’affitto degli attrezzi indispensabili per poter lavorare come il machete, i guanti e le protezioni di gomma per braccia e gambe. Più di mille lavoratori in condizioni di schiavitù sono stati liberati in una grande piantagione destinata alla produzione di bioetanolo nello stato brasiliano del Parà, in Amazzonia. La società proprietaria dei campi, la Pagrisa, ha negato le accuse spiegando che tutti i dipendenti avevano un regolare contratto di lavoro. Gli ispettori hanno fotografato gli alloggi dove dormivano, in capannoni con materassini sistemati uno accanto all’altro e con scarse condizioni igieniche. Come schiavi ma senza catene. È la più grande operazione di questo tipo realizzata negli ultimi anni, la punta dell’iceberg di un universo sommerso in uno dei settori economici chiavi per il gigante sudamericano. Con 17 miliardi di litri all’anno il Brasile è il principale produttore mondiale del biocombustibile derivato dalla canna da zucchero. Il presidente Lula da Silva non perde occasione per pubblicizzare il prodotto. Negli ultimi mesi si è fatto fotografare assieme a George Bush in una fabbrica d’etanolo della Petrobras, ha stretto accordi con il Giappone, la Germania, l’Italia, ne ha parlato anche alla recente riunione dei G8. Un combustibile sicuro, ha spiegato, rinnovabile e più economico rispetto al petrolio. L’interesse mondiale è cresciuto al punto che grandi investitori come George Soros hanno già comprato campi e raffinerie nelle sterminate pianure brasiliane. Ma il boom dell’etanolo presenta almeno due punti oscuri. Il primo riguarda per l’appunto le condizioni di lavoro dei cortadores, i tagliatori della canna. Se nello stato di San Paolo, dove si concentra gran parte della produzione, le imprese operano con standard quasi sempre accettabili, turni di otto ore, assistenza medica, nessuna spesa extra da affrontare, altrove il panorama è diverso. I tagliatori vengono reclutati soprattutto nell’arido e poverissimo Nordest e si fanno centinaia di chilometri di viaggio con la promessa di un lavoro stagionale con cui poter mantenere a distanza le loro famiglie. Il governo brasiliano, sotto pressione da una campagna di sensibilizzazione internazionale già in atto, ha avviato una serie di controlli a tappeto ma il fenomeno sembra difficile da estirpare. Secondo stime non ufficiali i nuovi schiavi sarebbero almeno cinquantamila ed è difficile scovarli anche a causa della complicità tra i funzionari locali e grandi proprietari terrieri. Ma le obiezioni sul biocombustibile crescono anche dal punto di vista ambientale. Ad iniziare dalla pratica diffusa di bruciare i campi la notte precedente alla raccolta per rendere meno dura la canna da tagliare. Gli incendi fanno aumentare le emissioni di disossido di carbonio compensando in negativo la pubblicizzata riduzione dei gas che causano l’effetto serra. Più politica la critica mossa dal leader cubano Fidel Castro secondo cui l’aumento delle coltivazioni di canna da zucchero farà crescere la fame soprattutto nei paesi poveri. Tesi sostenuta anche dal relatore delle Nazioni Unite per l’Alimentazione Jean Ziegler che ha fatto l’esempio di alcune zone rurali del Messico, dove il prezzo del mais è aumentato del 16% a causa della minore offerta disponibile per la riduzione dei campi coltivati. Ricercatori dell’Università di Standford hanno messo in guardia sul livello di ozono causato dai combustibili ad etanolo, risultato più elevato di quello provocato dalle auto a benzina comune. Punti a sfavore che, forse ancor di più dei nuovi schiavi riscattati in Amazzonia, possono minare il progetto brasiliano di essere entro il 2020 il leader di un grande mercato mondiale di etanolo da duecento miliardi litri all’anno.

Emiliano Guanella

2 comments:

A. said...

Complimenti, ottimo articolo.
Non posso non essere che d'accordo con te...
Per altro sui biocombustibili è arrivata anche la frenata delle Nazioni Unite. Un’indagine della Fao ha rivelato che quantità sempre crescenti di cereali sono destinate alla produzione di biodiesel, con il risultato di spingere la domanda e far schizzare verso l’alto i prezzi, proprio come il caso messicano che hai citato.

Anche io seguo molto da vicino la discussione sui biocombustibili, prova a leggere questo: “Fame” da biocombustibili

Emiliano Guanella said...

Ti ringrazio. In realtà, come molto spesso accade, la situazione è più complessa. La questione, mi sembra, non è discutere se l'etanolo sia buono o cattivo. Se vedi all'inizio del blog c'è un reportage che ho realizzato per la Televisione Svizzera in una piantagione a Sao Jose do Rio Preto, nello stato di San Paolo dove le condizioni dei lavoratori sono più che accettabili. In rasile, poi, c'è terra da vendere. Il vero problema piuttosto è la concentrazione di questa in poche mani e le terre improduttive. L'etanolo può essere una grande risorsa e un'alternativa credibile al petrolio, con buona pace di Chavez che giustamente sul petrolio ci campa, ma c'è bisogno di regole chiare e condizioni dignitose per i lavoratori.
Emiliano