Monday 5 November 2007

Per un'ora di rifiuti




PUBBLICATO SU "LA STAMPA"

BUENOS AIRES – L’enorme montagna di rifiuti aspetta ogni giorno il suo piccolo esercito di raccoglitori. Una ventina di poliziotti controlla la grande discarica a cielo aperto di Jose Leon Suarez, dove centinaia di camion buttano ogni giorno la spazzatura di mezza Buenos Aires. Un bene fin troppo prezioso per gli abitanti delle almeno dieci barracopoli della zona: entravano di notte scavalcando la recinzione, le guardie sparavano, ogni tanto ci scappava il morto. La soluzione pensata dalla direzione del Ceamse, il consorzio che gestisce il centro, è stata quella di aprire i cancelli per un’ora, dalle cinque alle sei del pomeriggio, per permettere ad almeno seimila persone di rovistare alla ricerca di cibo, carta, stracci, vetro. Sessanta minuti, una lotteria dantesca dove devi fare in fretta senza badare troppo agli altri per poter portare a casa qualcosa di buono. Famiglie intere, molti bambini che arrivano dalle villas miserias di Villa Hidalgo, La Carcova, Independencia, Costa Esperanza. Scavano, corrono, si appostano all’entrata per segnalare i camion più pregiati, quelli bianchi dei supermercati dove di sicuro si trova frutta, verdura o scatole di alimenti scaduti. Quando il tempo finisce gli agenti, fucile in mano, li spingono fuori. Tutti in fila, ognuno con il proprio bottino. Josè ha 29 anni, oggi non ha avuto fortuna. Mi spiega che non cerca cibo ma ferro, acciaio e qualsiasi cosa che gli possa servire per mettere a posto la sua casa, trenta metri quadrati comprati per duemila dollari, dove vive con la moglie e la figlia.“Non ho trovato quasi nulla, è da giorni che non arrivano cose buone. Guarda qui, qualche pezzo di rottame, un contenitore, stai sicuro che se tirano un mobile buono se lo portano via i poliziotti prima di noi”. Josè è arrabbiato con il governo. “Stanno costruendo un penitenziario qui vicino - dice - ma chiamano solo immigrati illegali boliviani o peruviani per pagarli di meno. A noi argentini, niente”. Subito fuori la discarica, dall’altra parte dell’autostrada, c’è il quartiere “Otto di Maggio”, fondato nel 1998 da un gruppo di disoccupati organizzati guidati da una giovane sindacalista uruguaiana Lorena Pastoriza. Hanno occupato una zona che non voleva nessuno, una collina di residui a fianco della palude dove i camion della nettezza urbana buttano spesso il loro carico per evitare di pagare la tassa al Ceamse. Terreno insalubre come pochi ma immune da qualsiasi speculazione edilizia. Hanno riempito di terra il canale dove passa la cloaca, allacciato la luce dai lampioni, hanno scritto da soli i cartelli che continuano con la numerazione delle strade d’asfalto convincendo pure il postino. Si sono organizzati in cooperativa, con decisioni prese in assemblea e la porta sbarrata ai punteros politici, i caporioni mandati dai partiti. Qui lavora una Ong italiana, l’Icei (Istituto di Cooperazione Internazionale), che ha contribuito alla costruzione di un centro comunitario che è stato visitato, tra gli altri, da Piero Fassino e da Fausto Bertinotti. Il Presidente della Camera, l’anno scorso, rimase impressionato dal lavoro svolto da quelli che definì come dei grandi lottatori sociali in un contesto di degrado assoluto. “Eravamo legati – spiega Ramon Ocampo – ad un sindacalista che è stato allontanato dal governo. Da ottocento assegni mensili di disoccupazione da 150 pesos (35 euro) ciascuno siamo a passati a meno di quattrocento. I politici vengono a caccia di voti ma quando fiutano che aria tira se ne vanno. Nell’urna ognuno decide per sé, non siamo certo noi a dire alle gente cosa deve fare”. La sterminata periferia di Buenos Aires, dove vive un quarto della popolazione argentina, è strategica per vincere le elezioni. Terra di contrasti, dove convivono le baraccopoli della zona Sud con gli chalet vicino al Rio della Plata di San Isidro, Vicente Lopez, Olivos. Specchio della cattiva distribuzione della ricchezza, una delle note dolenti nel quadro di ripresa economica del governo di Nestor Kichner. A fronte di una crescita record, più otto per cento del Pil all’anno, come non si è mai vista negli ultimi 130 anni di storia argentina, la breccia fra ricchi e poveri è rimasta pressoché invariata. Alcuni economisti che hanno appoggiato la ristrutturazione del debito estero e il conguaglio al Fondo Monetario Internazionale mettono in guardia su un modello troppo legato al prezzo internazionale dei principali prodotti d’esportazione come la soia, la carne, i cereali. “Oggi - spiega Leonardo Blejer – il 10% più ricco della popolazione guadagnava ventotto volte in più che il 10% più povero. La stessa proporzione di 10 anni fa. Il governo ha impiegato le risorse fiscali per aumentare gli stipendi, ha migliorato il sistema di pensioni e aumentato i sussidi ma restano ancora dieci milioni di poveri, il 40% dei lavoratori è in nero e l’inflazione erode il potere d’acquisto della classe media”. Cristina Fernandez ha detto che se sarà eletta, come prevedono tutti i sondaggi, il modello non cambia ma ha aggiunto che andrà alla ricerca degli investimenti stranieri che mancano nel paese dal default del 2002. L’Argentina, che sta lottando per essere riammessa al Club di Parigi, vuole tornare ad essere credibile sui mercati internazionali e di questo la signora Kichner ha già parlato nei suoi recenti incontri con Angela Merkel, Zapatero, Nicolas Sarkozy e il gotha della finanza americana. Nessun accenno, invece, agli hold-outs, i possessori di tango-bonds, tra cui anche migliaia di risparmiatori italiani, esclusi dal concambio deciso tre anni fa. Nemmeno un miracolo potrà salvarli.

1 comment:

Anonymous said...

well done, colega.