Sunday 6 April 2008

MarIa Eugenia, giustizia a metà



PUBBLICATO SU "LA STAMPA"

Lo sguardo fisso in aula, dietro agli occhiali dalla montatura nera, l’abbraccio e il lungo applauso di una decina di compagni e delle nonne di Piazza di Maggio, la camminata a testa bassa fino al taxi, per scivolare via dall’assedio della stampa. Non commenta la sentenza ma è delusa Maria Eugenia Sampallo Barragan, prima figlia di desaparecidos a denunciare la coppia che per 25 anni ha fatto finta di essere sua madre e suo padre. Il Tribunale ha condannato Maria Gomez Pinto e Osvaldo Rivas rispettivamente a sette e otto anni di prigione, dieci anni per il capitano dell’esercito Enrique Berthier, che portò via la neonata dal campo di sterminio dove poche ore dopo i militari avrebbero ucciso la madre. Pene inferiori rispetto ai 25 anni che chiedeva non solo l’accusa ma anche il Pubblico Ministero durante un processo che ha commosso tutta l’Argentina. Maria Eugenia se ne va assieme agli altri “nietos”, i nipoti che come lei hanno scoperto negli ultimi anni la loro vera identità. “Non ci muove – aveva detto ad inizio della settimana in un incontro con la stampa– la sete di vendetta ma la fiducia nel concetto di giustizia, una giustizia che sappia fare il suo lavoro e per la quale abbiamo aspettato più di trent’anni”. Ha parlato poco ma i dettagli che ha raccontato in aula raccontano di un’infanzia e un’adolescenza fatta non solo di bugie ma anche di maltrattamenti, accuse, della sensazione di essere un’altra, di non appartenere ad un mondo in cui non si riconosceva e che, in fondo, non l’accettava. La svolta cinque anni fa, quando scopre con il test del Dna di essere figlia di Mirtha Barragan e Leonardo Ruben Sampallo, militanti comunisti, catturati nel 1978 e portati al Club Atletico, uno dei lager dell’esercito. Scopre di essere nata nell’ospedale militare, di esser stata data, forse a cambio di denaro, ai Rivas. “Non chiamateli mai – ha chiesto ai giornalisti – genitori adottivi. Una persona che ha rubato un bambino, che gli ha nascosto la sua vera identità, che lo ha maltrattato e umiliato più di quanto si possa pensare non può conoscere che cos’è l’amore di un padre o di una madre”. La sentenza è stata accolta con grande delusione dalle associazioni dei famigliari delle vittime. “A volte – ha confessato una delle Nonne – abbiamo la sensazione che non avanziamo. Hanno ricevuto la stessa condanna che riceve un ragazzino che ruba in un negozio con una pistola giocattolo in mano e fra poco tempo cammineranno di nuovo in mezzo a noi”. In aula c’è anche Victoria Donda, un'altra figlia di desaparecidos recuperata, che è stata recentemente eletta in Parlamento, dove ha presentato un pacchetto di disegni di legge per facilitare la ricerca degli altri 400 ragazzi che ancora oggi si pensa siano all’oscuro della loro vera identità. “Negli ultimi anni – spiega alla Stampa – le cose sono migliorate, sono caduti falsi miti come la tesi nazista di chi sosteneva che ci avevano sottratto alle nostre famiglie per poterci dare un’educazione migliore, ma c’è ancora molto da fare e questa sentenza ce lo dimostra chiaramente”. Maria Eugenia deciderà nei prossimi giorni se ricorrere in appello, chiedendo che il delitto di appropriazione di minori venga considerato come di lesa umanità. I suoi legali esigono che il capitano Rivas sia trasferito in un carcere comune e non nelle fin troppo accoglienti dipendenze militari. E’ pronta anche a collaborare alla campagna di sensibilizzazione guidata dalle “Abuelas” assieme al governo argentino. “Il clima non è facile” ammette la presidentessa dell’associazione Estela Carlotto, ricordando la sparizione un anno fa di un testimone importante in un processo contro militari e l’uccisione in carcere di un tenente della prefettura che avrebbe potuto fornire nomi e dati utili alle ricerche di nuovi casi. Eugenia, impegnata a costruire la sua nuova vita, sa che può diventare un esempio da seguire e non si tira certo indietro. “Non è il tempo delle lacrime – spiega – le nostre strade sono piene di lacrime, ma nemmeno della paura: chi sa qualcosa deve presentarsi a dichiarare, chi ha dei dubbi deve avvicinarsi ai centri specializzati. La verità è l’unica opzione possibile”.

1 comment:

LaValen said...

leggendo l'atto di citazione scritto dal legale di maria eugenia (sul sito delle nonne), è chiaro che entrambi i suoi genitori sono morti sapendo che lasciavano la figlia nelle mani dei propri carcerieri, dev'essere stata per loro la tortura più atroce.