Sunday 3 February 2008

La frontiera infinita

REPORTAGE DA CITTÀ DEL MESSICO
PUBBLICATO SU "LA STAMPA"

Edwin Garcia è partito alla vigilia di Natale da Chocon, un villaggio sperduto nella campagna dell’Honduras, ha attraversato tre frontiere, è passato in barca su un fiume, ha camminato per tre giorni senza fermarsi nella selva del Chiapas ed è stato assaltato da una banda di delinquenti prima e dalla polizia messicana poi. » stanco ma tutto sommato sta bene, anche se non riesce a togliersi di dosso l’immagine dei due ragazzini caduti dal treno e rimasti agonizzanti e mutilati sulle rotaie qualche centinaia di chilometri più a sud, nei pressi di Veracruz. Ora non gli resta che aspettare il momento buono per salire su un treno merci diretto a Nord, dove tenter‡ la traversata nel deserto per passare oltre confine. Il suo viaggio può fermarsi in qualsiasi momento, basta un’incertezza e la “migra”, la polizia migratoria, entra in azione. “Sapevo che era un percorso rischioso ma non ho alternative. In Honduras lottiamo contro due piaghe, la povert‡ e la delinquenza organizzata delle maras, le bande di giovani che ti uccidono senza alcun pretesto. Negli Stati Uniti posso trovare un lavoro pagato dieci volte meglio che nel mio paese, vivere meglio e mandare soldi alla mia famiglia”. Ha ancora qualche spicciolo con sè e un foglietto con un numero di telefono, quello di suo cugino che lavora in una coltivazione in Texas ed Ë pronto a andarlo a prendere appena riesce a passare il confine. A Ecapetec, snodo ferroviario di treni merci nella periferia di Citt‡ del Messico, passano ogni giorno centinaia di emigrati centro-americani. Partono soli o in gruppo, si affidano spesso ai “polleros” o “coyotes”, le guide che chiedono fino a 6.000 dollari per portarti fino al deserto. Fanno avanti e indietro ogni tre settimane con il loro carico di persone, viaggiano armati e hanno i contatti giusti nei punti strategici, sui treni, nelle stazioni, ai posti di polizia, dove con una bustarella si chiude volentieri un occhio. I grandi cartelli della droga, Juarez, Tijuana, Sonora, controllano parte del business. L’et‡ media degli emigranti Ë fra i 20 i 40 anni, poche le donne, che corrono il rischio di essere intercettate dai trafficanti di persone e finire nei bordelli nella regione di Taumalipas o sulla costa atlantica. Il Messico li caccia: il governo di Felipe Calderon ha accolto la richiesta di mano dura arrivata da Washington sperando di ricevere in cambio un trattamento pi_ benevole per i propri emigrati illegali, che restano comunque la grande maggioranza rispetto a tutti quelli che ogni anno riescono ad entrare negli Stati Uniti. “La Frontiera Sud del Messico – spiega Isabel Varicat, un’avvocata e documentarista spagnola che lavora per un centro d’appoggio ai rifugiati - si Ë trasformata nell’altra frontiera, strategicamente molto importante perchÈ Ë quella da dove passano tutti i non messicani che cercano di entrare negli USA. Centro e sudamericani ma anche cinesi, asiatici, africani che passano attraverso il Belize. E’ una specie di guerra fra poveri, le autorit‡ messicane spingono chi viene da sud e cosÏ via. Da qualche tempo anche il Guatemala sta facendo lo stesso: in questo modo la frontiera si sposta e ogni paese diventa terra di transito”. La linea dura contro l’immigrazione illegale varata dall’amministrazione Bush, il cui gesto pi_ eclatante Ë stato l’avvio della costruzione del muro lungo i 3.200 chilometri di confine si fa strada. Dal 15 gennaio l’Arizona ha varato una legge che obbliga i datori di lavoro a denunciare i dipendenti irregolari. Altri stati stanno imponendo controlli pi_ severi sui conti correnti, i mutui per la casa, i permessi di guida. Ma il flusso non diminuisce. Secondo l’ultimo rapporto della Banca Mondiale il Messico rimane il paese al mondo con il maggior numero di emigrati, seguito da Russia, India e Cina, ed Ë al terzo posto, dopo India e Cina tra quelli che ricevono le rimesse, per un totale stimato in 25 miliardi di dollari all’anno, la terza entrata del paese dopo il petrolio e gli investimenti stranieri. “Per il Messico – spiega Juan Artona, direttore dell’ufficio locale della OIM, l’agenzia delle Nazioni Unite per le migrazioni – questo esodo rappresenta una valvola di sfogo decisiva per mantenere una certa stabilità economica. Senza le rimesse la povert‡ sarebbe molto più alta. Le autorità si sono rese conto che questo è diventato un paese che attira emigranti, un grande corridoio dove passano le persone che non riescono ad entrare legalmente negli Stati Uniti. Da lÏ la richiesta di visto obbligatorio per i paesi vicini, i centri di detenzione, la rete di autobus per le deportazioni di irregolari”. La frontiera che si sposta crea per il governo messicano anche dei problemi diplomatici. Visto l’aumento considerevole di brasiliani arrestati dalla Border Patrol statunitense mentre cercavano di passare il confine, il Messico ha imposto loro l’obbligatoriet‡ del visto, causando la profonda irritazione da parte del governo di Lula da Silva. “A volte –spiega Guillermo Garcia Espinosa del quotidiano La Jornada, ex corrispondente dagli Stati Uniti – si ha l’impressione che il governo messicano obbedisca a degli ordini, senza preoccuparsi delle relazioni con gli altri paesi latino-americani. Non si questiona, e meno in un anno elettorale come questo, se determinata politica sia giusta o meno, la si applica e basta”. Cresce nel frattempo il numero di morti nel deserto, oltre cinquecento l’anno scorso; per disidratazione o perchè ucciso da qualche guida che perde le staffe. Ma le ong messicane denunciano che sono molto di più li emigranti che muoiono durante il lungo viaggio al Nord, investiti di notte dal treno, affogati nei fiumi da attraversare, intercettati da banditi durante il cammino. Morti anonime, a migliaia di chilometri dal sogno americano.

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